A Milano è in corso (dal 21 settembre 2018 al 24 febbraio 2019) la mostra dedicata a Margherita Sarfatti al Museo del Novecento intitolata “Segni, colori e luci a Milano”. Una mostra dal carattere immersivo in cui sono esposte le opere dei maggiori artisti che lei ha recensito e un’ambientazione completa di abiti, libri e accessori che descrivono il sapore di quell’epoca. Si racconta la sua vita e la tenacia con cui ha svolto il suo lavoro di critica d’arte e animatrice culturale.
In questo articolo voglio raccontare soprattutto quanto lei sia stata geniale nel creare il brand Novecento Italiano, a renderlo noto e vincente. Perché non si è trattato solo di un’operazione artistica e culturale ma di un vera e propria costruzione e diffusione di un brand in modo molto moderno.
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Partiamo da chi è Margherita. Lei è stata una donna fortunata oltre che tenace. Nasce nel 1880 a Venezia da una famiglia ebraica molto ricca che fa parte di una borghesia illuminata. Può dunque ricevere un’educazione multiculturale e di alto livello: parla e scrive correttamente in 4 lingue. Tra i suoi precettori c’è Antonio Fradeletto uno dei fondatori della Biennale di Venezia e l’arte è da sempre parte della sua vita. La famiglia partecipa a molti eventi culturali e in una di queste occazioni conosce il futuro marito Cesare Sarfatti, alla Fenice. Poco tempo dopo il matrimonio, all’inizio del Novecento, la coppia si trasferisce a Milano e Margherita Sarfatti continua la sua attività di critica d’arte e di curatrice di mostre già iniziata a Venezia.
Predilige pittori del tardo ottecento che sono, all’epoca, artisti contemporanei, come Medarso Rosso, Gaetano Previati e rimane su una linea estetica di una pittura che si rinnova ma rimane legata al classico in chiave moderna distinguendo la sua posizione culturale dall’amico Filippo Tommaso Marinetti che segue invece più la linea del futurismo.
Il momento è artisticamente fertile e vede diverse iniziative di molti generi; inizia ad esserci anche un mercato di arte contemporanea. Nasce in questo contesto propositivo il gruppo Novecento composto da 7 artisti: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Emilio Malerba, Pietro Marussig, Achille Funi, Ubaldo Oppi e Mario Sironi che decidono di esporre seguendo linee comuni anche se in realtà sono molto distanti tra di loro ma è l’idea di lavorare ed esporre in gruppo la caratteristica che li accomuna.
Espongono la prima volta alla Galleria Pesaro nel 1922 ma due anni dopo, alla Biennale di Venezia nel 1924, il gruppo espone con solo 6 artisti. Margherita ne sposa da questo momento la causa come critico di riferimento del movimento e allestisce la mostra. Guardandosi intorno nota nelle altre sale la quantità di artisti affini al movimento e si rende conto che Novencento può avere un maggior respiro anche di dimensione sovrannazionale e trasforma l’idea iniziale in una più potente partendo dalla modifica del nome in “Novecento Italiano” proprio per dare ancora più enfasi. Il nome Novecento era stato coniato da Anselmo Bucci per riprendere la grandiosità dell’arte italiana facendo seguito alle denominazioni Cinquecento, Seicento: il nome è già in partenza molto ambizioso perché si voleva che l’arte italiana ritornasse a dominare la scena internazionale.
L’intento di rendere Novento Italiano un movimento importante le riesce molto bene grazie alla sua capacità. In un contesto in cui il dibattito sull’arte è molto acceso e gli stili sono molti ed etorogenei, Margherita Sarfatti non è più solo una curatrice che invita gli artisti ad esporre ma diventa promotrice e regista del movimento che sceglie di sostenere dandogli un’eco internazionale.
Alla prima mostra di Novecento Italiano espongono 130 artisti con due opere a testa ed è organizzata nel 1926 al Museo delle Permanente di Milano, città con un ruolo internazionale molto importante. Si inaugura con la presenza di Benito Mussolini che tiene uno dei pochi discorsi pubblici sul tema dell’arte. Questo dà parecchia enfasi e attenzione all’evento dandone risalto anche sulla stampa internazionale. Margherita immagina un progetto artistico culturale di ampio respiro e mette tutta la sua capacità organizzativa per rendere la prima mostra sublime. Non tralascia nessun particolare.
È molto abile nel creare intorno all’evento un sistema molto moderno di attenzione e di coinvolgimento: dalla stampa ai personaggi pubblici e politici. Organizza conferenze stampa, è attenta alle recensioni e all’esposizione mediatica. Tutta la documentazione della mostra fa capire come lei abbia avuto polso ed è stata la regista di questo movimento creando un eco nazionale e internazionale. Si preoccupa di avere gli sconti ferroviari per chi parte per vedere la mostra; si preoccupa che ci siano acquisti pubblici, perciò scrive anche al Ministro della Pubblica Istruzione che acquista per la Galleria Nazionale di Arte Moderna. Opere vengono acquisiti anche dal Comune di Milano.
La sua posizione nella società era incardinata in conoscenze di alto livello e le hanno consentito di arrivare a raggiungere il suo ambizioso obiettivo che ha potuto mantenere anche nella seconda edizione sempre alla Permanente nel 1929. Le vicissitudine italiane proseguono come è storicamente noto e tutta la fervente dialettica artistica finisce con la fine della seconda guerra.